Storie di ordinaria follia

Armatevi di piccone e restate in nicchia!

Le miniere hanno un fascino tutto loro. Entrare nella montagna, camminare tra i cunicoli scavati dal sudore di centinaia di uomini in mezzo ad un silenzio tombale ti regala emozioni difficili da rendere a parole. Le miniere di Schilpario riescono però a regalarle.

Armati di felpa più che di piccone (in miniera ci sono circa 7 gradi con fino al 100% di umidità) domenica pomeriggio ci siamo addentrati nella montagna, accompagnati da una guida molto competente in materia e seduti su un trenino che ci ha portati su per il cunicolo. Per facilitare il movimento dei vagoni in uscita, infatti, i cunicoli hanno una pendenza costante del 3% che facilita anche lo scorrere dell’acqua verso l’esterno. Questo naturalmente significa che il treno, uscendo, prende velocità, e, poichè il tunnel è piuttosto piccolo, attorno alle rotaie sono state create delle nicchie dove rifugiarsi per non essere travolti. La miniera è stata chiusa negli anni ’70 e le nicchie sono ora diventate cantine con tanto di vino e salami appesi a prender fresco. Dei cartelli sul treno ti avvertono di “restare in nicchia”, forse dovevamo scendere a andare a rifocillarci?!

Miniere val di scalve

Ancora qualche minuto di treno ed eccoci arrivati. Sopra di noi 900 metri di terreno. Guardi su e per un attimo e ti senti schiacciare. Il treno si ferma, le luci si spengono e resta accesa solo una piccola lampada ad olio, l’unico mezzo di illuminazione che i minatori avevano a disposizione. In lontananza si sente l’acqua che scorre, l’aria è pulitissima, fa talmente freddo che non ci sono neppure gli insetti. La luce viene spenta. La montagna ti accoglie nel suo ventre e tu sei lì, per un attimo ti senti tornare terra… poi di colpo torna la luce e si parte, per raggiungere a piedi una seconda galleria.

Come in un’enorme cattedrale, sopra di noi un’immensa volta scura. La roccia non c’è più, è stata scavata seguendo la venatura del materiale a base di ferro che veniva estratto, sono rimaste solo piccole colonne che sorreggono la montagna per evitare il collasso interno dei tunnel. Il silenzio e l’oscurità ricordano le vecchie chiese gotiche, quando ancora non erano meta di rumorosi turisti intenti a fotografare. La guida ci spiega che i minatori dovevano portarsi a spalla, su per queste lastre di roccia, tutto il materiale, compreso il martello pneumatico che veniva chiamata la “ragazza” dato che i minatori dovevano abbracciarlo più stretto che potevano e sopportare il suo assordante rumore!

La visita continua tra piccoli cunicoli di passaggio e grandi spazi di lavoro, dove la roccia è stata scavata. I bambini iniziavano a lavorare a 8/9 anni, il rumore dei macchinari, la polvere, e la fatica ti distruggevano in fretta: vent’anni al massimo qua dentro ed eri finito, tornavi ad essere terra e polvere, come la montagna. Per la gente della Val di Scalve la miniera era uno dei pochi lavori che si potevano fare, generazioni di uomini hanno lavorato duramente qui dentro per una paga misera e un’aspettativa di vita ridotta all’osso. E più ci pensi, più ti accorgi che forse “questa crisi” tanto crisi poi non è.

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