Ore 7,40
La sveglia suonava. Era suonata già tre volte quella mattina, ma ancora una volta Elena allungò la mano e svogliatamente premette il tasto “posticipa”. Era tre mesi che non lavorava più, la malattia l’aveva costretta ad un lungo periodo di riposo, ma nonostante ciò tutte le mattine puntava sempre la sveglia alle 7,25. “Per sentirsi viva” diceva lei. Non potendo più alzarsi, fare colazione, correre fuori tra i suoi mille impegni, sentire quel fastidioso rumore le ricordava che dopotutto era ancora su questa terra.
Ore 7,45
La sveglia suonava di nuovo. Questa volta si decise a spegnerla. Allungò le mani nel letto alla ricerca del cuscino finito chissà dove e lo posizionò sotto la testa. Cercò a fatica di alzare la schiena appoggiandosi sui gomiti e aprì gli occhi. Era il 18 Agosto e la luce del caldo sole estivo filtrava tra le imposte. Cercò di abituarsi al buio della stanza e grazie a quella poca luce riuscì ad orientarsi. Anche oggi non avrebbe aperto le finestre, non ce n’era bisogno.
Il cellulare sul comodino lampeggiava. Qualcuno dal numero 039 348 167 964 le aveva lasciato un messaggio. Aveva smesso di memorizzare i numeri di telefono mesi fa dicendo che non ce n’era bisogno, se era qualcuno di importante si sarebbe ricordata il numero a memoria, altrimenti non era necessario spendere energie per memorizzarlo nella rubrica. Rilesse il numero e riconobbe le ultime tre cifre, era Manuel, diceva che sarebbe passato nel pomeriggio. Elena guardò l’orologio.
Ore 7,50
Mancavano ancora cinque o sei ore al pomeriggio. Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, cercando di riaddormentarsi.
Dormire era per Elena l’unica cosa che ancora la rendeva felice. Da quando “il parassita”, come le piaceva chiamarlo, si era impossessato del suo stomaco, lei aveva perso le forze e dormire era l’unica cosa che la faceva sentire ancora viva, per il resto “non c’era bisogno”: non c’era bisogno di mangiare, non c’era bisogno di uscire, non c’era bisogno di incontrare gente e farsi compatire. Ma non è del tutto corretto dire che le piaceva dormire, quello che le piaceva davvero era svegliarsi: sentire i suoi muscoli che si stiravano nel momento esatto in cui tornava alla realtà. Sentire che anche questa volta riapriva gli occhi e il parassita non era riuscito ad addormentarla per sempre. Era per questo che si svegliava e si riaddormentava di continuo, per provare a svegliarsi di nuovo, per cercare di capire se ce l’avrebbe fatta ancora o se quella volta il male sarebbe stato più forte di lei.
Ore 14,15
Elena fu svegliata dal campanello che suonava incessantemente. Sapeva perfettamente che era Manuel, così si trascinò giù dal letto e andò alla porta. La aprì e una ventata di aria pulita e di sole raggiante la colpì in pieno viso. Manuel entrò senza dire nulla e aprì le imposte della cucina.
“Come stai?” Elena alzò le spalle, si rannicchiò sul divano e osservò Manuel mentre svegliava la casa: apriva le finestre, raccoglieva il disordine, rifaceva il letto, le preparava qualcosa da mangiare. Dopo averla convinta a nutrirsi aprì l’acqua della doccia e ce la spinse dentro.
“Devi andare in banca” le urlò dall’altra stanza.
“Non c’è bisogno” rispose lei prontamente, mentre si passava lo shampoo sulla cute ormai spoglia.
“Devi firmare i documenti per l’assicurazione”
Il silenzio che proveniva dal bagno fece intendere a Manuel che aveva capito, o forse si era rassegnata al fatto che sarebbero usciti. Nonostante la fretta, aspettò con calma che Elena accendesse il phon, inutilmente, vedendo in questo gesto abitudinario il suo modo di dirgli che c’era, che si stava preparando per uscire.
Ore 15.30
Elena finalmente uscì dal bagno. La malattia le aveva scavato gli zigomi e le aveva tolto il sorriso, ma nei suoi occhi spenti un barlume di luce brillava ancora. Lei si mise un cappello e uscirono. La banca non era molto distante e andarono a piedi. Qualche firma, troppa gente che le chiedeva come stava, e finalmente erano di nuovo a casa.
Ore 16,45
Il tempo passato al sole sembrò un’eternità. Finalmente poteva ricominciare a dormire, ma naturalmente Manuel non glielo avrebbe permesso. Si sedettero in veranda e mentre lui preparava un the freddo per entrambi, lei osservava la sua vite che combatteva in silenzio. Per la prima volta da quando le avevano diagnosticato il cancro decise che c’era bisogno di fare qualcosa. Andò dietro la casa, prese tutto il necessario e si avvicinò alla vite, iniziando a fare il trattamento di cui ogni anno aveva bisogno per restare in forza.
“A settembre raccoglieremo l’uva” disse.
Ore 18,20
Esausta per quel piccolo lavoro di giardinaggio, Elena si sedette preferendo restare all’ombra, ma per Manuel vederla seduta all’aria aperta era già una soddisfazione. Si misero a chiacchierare del più e del meno finché Elena si perse per un attimo nei suoi pensieri. Quando tornò alla realtà disse “Auguri!”
“Auguri a chi?” chiese Manuel.
“ A me” rispose lei “oggi è il mio onomastico e dovevo ricordarmi di farmi gli auguri”.
“Auguri allora! Alla tua salute” disse Manuel alzando il bicchiere.
Elena lo guardò per un attimo spaventata, poi disse “oggi ho proprio bisogno di brindare alla mia salute!” e fece tintinnare il suo bicchiere contro quello dell’amico.
Ore 23,30
Manuel se ne era appena andato dopo la cena di buon onomastico improvvisata. Elena si mise nel letto, ma quella sera non puntò la sveglia per la mattina successiva.
